Sorelle

Quando sono nata non avevo nessuna sorella ad attendermi. E da piccina ci stavo un po’ male, continuavo a chiedere ai miei di adottare una sorella più grande. Quando avevo tre anni e mi dissero che avrei avuto un fatellino o una sorellina, io speravo di avere una sorella. Ma nada. A dodici anni, stessa storia: un fratellino o una sorellina. E ancora un fratellino. Alla fine, competitiva come sono, sono stata molto felice di avere due fratelli e nessuna sorella, altrimenti sicuramente la gente avrebbe deciso chi era quella più bella e io sarei impazzita. Però vedevo le mie amiche con una sorella maggiore come dotate di un’arma in più. Fondamentalmente trovavo figo lo scambio di vestiti, però una sorella più grande per me era come avere gli occhi blu o i capelli naturalmente lisci: un’arma in più per la vita. Poi, a un certo punto, uno si fa una ragione per tutto. A diciannove anni, mentre mi sono convinta che le mie tette non sarebbero cresciute e che potevo smettere di dire che non usavo il reggiseno perchè ancora non mi serviva, nella mia vita è arrivata una sorella. Avevo già avuto amicizie forti, ma questo già lo sapete. Però quando lei è entrata nella mia vita è stata quasi sin da subito proprio una sorella. Con lei, a cui potevo rubare e ancora rubo vestiti, ho scoperto che quel mondo magico e simbiotico tra sorelle non era basato solo su quello ma che c’era molto di più. C’era l’empatia, c’era la sinergia. C’era bisogno di uno sguardo per capire. I ‘come stai?’ erano superflui. I piatti di pasta che mi aspettavano a casa sua, alle quattro del pomeriggio, “che lo so che non hai ancora mangiato”, erano la prova di famiglia più grande che potesse offrirmi. I cartoni animani guardati nel letto dell’altra, addormentandosi, erano l’infanzia sorellesca che la vita mi stava dando dopo che l’avevo tanto desiderata, anche se ormai ero cresciuta. Le sorelle più grandi sono una benedizione che la vita regala solo a certe persone e, a me, quasi quasi, questa benedizione non voleva darla. E allora io me la sono presa. Io mi sono presa lei. Lei si è presa me. Avevo vent’anni e guardavo lei venticinquenne: ai miei occhi era grande, bella, forte, invincibile. Era quello che sarei voluta diventare. Gli anni sono passati, veloci. Così veloci che sembrano essermi scivolati come sabbia dalle dita. Negli anni si sono sussguiti traslochi, trasferimenti, fidanzati che ci prendevano e ci mollavano, una gravidanza (dove la sorellanza è stata molto evidente quando le avevo detto che non era ingrassata e lei si era arrabbiata perchè “lei prima non aveva tutte quelle cosce”), si sono sesseguite ansie da tesi, da ricerche di lavoro, ansie da sogni che non si realizzavano, felicità condivisa per quelli che, invece, si realizzavano. Non ci siamo mai risparmiate commenti, belli o brutti. Sono cambiati i corpi, le case, il colore dei capelli, le nostre vite; ma non siamo cambiate noi. Il rapporto di sorellanza oggi si palesa quando resto con M., che non è un nipote di sangue -e che mi fa venir l’ansia per quanto impazzirò quando uno dei miei fratelli mi darà un nipote ‘ufficiale’ (credo che comincerò a ricamare per l’occasione)- e per la fiducia spassionata con cui me lo lasciava quando era piccolissimo, malgrado io sia abbastanza famosa per l’essere svampita. La fiducia si dimostra ogni volta che mi chiede di cucinare qualcosa, anche dopo quella volta che ho versato una bottiglia di salsa su una pizza. L’amore si dimostra quando io lo so che lei ha un sacco di paturnie più grandi delle mie, eppure mentre M. guarda i cartoni e usciamo a fumare, lei mi chiede com’è andata con T. dopo che ha visto A.

La vita non mi ha dato capelli lisci di natura, ma me li sono presi. Non mi ha dato gli occhi blu e all’alba dei ventisette anni, dopo svariati anni di problemi col mio corpo, non mi interessa più così tanto. La vita però mi ha regato una sorella. Spesso dico che se avessi avuto una sorella vera, non avrei potuto avere rapporto più bello di quello che ho con lei. E lo penso davvero. Oggi, guardo quelle stesse amiche che da ragazzina un po’ invidiavo per le loro sorelle e mi rendo conto che tra di loro non c’è il rapporto che c’è tra noi. Forse perchè loro sono semplicemente nate nella stessa famiglia e hanno dovuto imparare, crescendo insieme, a sopportare i difetti dell’altra. Noi no. Noi ci siamo scelte. Noi abbiamo imparato ad amare i difetti dell’altra. L’altro giorno lei piangeva. E io ho fatto la cosa che più odio di me quando qualcuno sta male: ho cominciato a piangere con lei. Mi sarei odiata se fosse successo con chiunque altro. Con lei no. Con lei mi è sembrata la cosa più bella che potessi fare.

Dalla prima volta in cui l’ho incontrata, mi ricordo perfettamente dove, come e quando, ho sentito qualcosa nello stomaco. Quando mi parlava, sentivo in lei qualcosa che mi appartiene nel profondo. Come quando a vent’anni la guardavo venticinquenne e speravo di diventare come lei; oggi la guardo nella sua vita da poco più che trentenne e spero di diventare la metà di quello che è lei. Io vengo da una famiglia piena di donne forti, le donne forti sono per me la normalità. Mio padre, ogni volta che scalpito, mi dice che sono come mia nonna: una dittatrice nata. Però io una donna forte e coraggiosa come lei non l’avevo mai conosciuta e sono proprio fiera di essermela scelta, ormai tanti anni fa, come sorella maggiore.

Qualche pomeriggio fa, mi raccontava di questo spettacolo che aveva visto a teatro. L’aveva colpita la scena di questa donna, in piedi, da sola, con un ago in mano. E nessun filo. E’ un po’ così che sei oggi, stella mia. E non ti stai rendendo conto che il filo non lo vedi perchè il filo sei tu. Tu sei il filo di te stessa, della tua vita. In questa stanza, piena di cassettini di tutti i colori, tu non sei un cassettino con un colore: tu sei tutti i colori. E la realtà è che nessuno potrà portarsi via i tuoi colori.

Lo so come ti vedi, ti conosco bene e sono perfettamente consapevole che abbiamo una bella fettona di cose in comune. So che credi di barcollare tra tutte queste cose incerte e poco chiare ma in verità, ai miei occhi di sorellina piccina, hai appena cominciato una danza bellissima. Sei sulle punte e il male è terribile, sono un’ex ballerina, lo so. Fa un male porco dar vita ad una pirouette. Ma chi ti  guarda, non sa di quanto il tulle pizzichi sulla pelle, non sa dei piedi che sanguinano: loro vedono la magia. Io sono il pubblico. Ma sono anche quella che ti comprerà i cerotti per le punte.

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In questa dichiarazione di amore pubblica, voglio dirti che sei la mia roccia, che sei la mia musa. Che dire che ti voglio bene è riduttivo. Voglio dirti che, forse non te l’ho mai detto, ma che ogni volta che ti guardo con M. io penso che voglio essere una mamma come te, da grande. Sei la sorella maggiore migliore di tutto il mondo e io sono qui, a guardati danzare con gli occhioni sognanti, lucidi per l’emozione. Ma nella borsa ho i cerotti. E accanto alla sedia, ci sono i fiori, per quando avrai finito lo spettacolo.

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Ex. Si: ancora loro, sempre loro.

Ieri T. ha visto A., la sua ex. Ex, ex, ex. Si, ancora. Vorremmo che non esistessero, vorremmo avere uomini senza un passato. Ma loro sono sempre lì, dietro l’angolo. Ieri T. avrebbe dovuto vedere A. per dirle della mia esistenza. Il che era quello che volevo solo che, quando stava per succedere, mi sono immaginata un’ondata di amiche infuriate che tra ieri sera, oggi e il prossimo mese, continueranno a guardare le mie foto e dire che sono una troia. Se va bene, potrebbero addirittura avvistarmi per strada mentre sono struccata, spettinata e magari con la maglia del pigiama. Così potranno anche dire che sono sciatta. Quello sarebbe un bel colpo di fortuna, bisogna ammetterlo. Poi, ho cominciato a pensare che esisteva la possibilità che, all’ultimo, T. ci ripensasse e non glielo dicesse. E a quel punto cosa avrei dovuto fare? Arrabbiarmi? Mandarlo a fanculo? In questo turbine di pensieri confusionari e malati, ho cominciato a pensare alle diverse categorie di ex con cui tutte ci siamo dovute scontrare nella vita e dopo che S. le ha condivise con una sua amica ieri, Hunaja non può fare a meno di condividerle con voi.

Bella. Quella bella è l’ex peggiore di tutte. Lei è oggettivamente bella. Su di lei si possono sentire frasi come “non è il mio tipo” ma nessuno oserà mai dire che non sia bella. Lei non sarà mai avvistata struccata e con la maglia del pigiama, figuriamoci spettinata. Appartiene a quella categoria di donne che si fa il contouring, che per quanto mi riguarda è quello di più vicino al satanismo che una fighetta possa permettersi. Ma chi sono io per giudicare una che viene definita da chiunque come bella? Sembrerei una sfigata invidiosa. Quindi, quando l’ex in questione è così bella che le tue amiche non possono nemmeno dirti che è brutta, è finita: devi arrenderti all’evidenza dei fatti e stare zitta.

Simpatica. Quella simpatica è l’ex peggiore di tutte. Lei è quella simpatica. E’ ironica, è divertente, il sarcasmo è il suo migliore alleato e i suoi aneddoti sono sempre divertenti. E’ quella perfetta con cui restare amico, per una birra e quattro risate. A quale psicopatica verrebbe in mente di scegliere gli amici del suo uomo? A tutte. Ma nessuna lo fa, per non sembrare psicopatica. Quindi non c’è niente da fare: bisogna arrendersi al fatto che lei lo farà sempre ridere. E se siamo abbastanza sfortunate, le sue battute ci verranno riportate.

Stronza. Quella stronza è l’ex peggiore di tutte. E’ quella che l’ha tradito. E’ quella che l’ha mollato. E’ quella che gli ha spezzato il cuore. E’ quella che l’ha trattato con sufficienza. Per colpa sua, lui non si fiderà mai completamente di te. Forse, lui non ti parlerà spesso di lei, soprattutto se la relazione è finita da un po’. Ma lui ci penserà. Sempre. E tu? Puoi forse controllare i piensieri? Magari anche i suoi sogni? No. Tu non puoi farci assolutamente niente.

Matta. Quella matta è l’ex peggiore di tutte. Di lei sentirai parlare continuamente. Lei è quella che ha preso un treno e si è presentata davanti la sua porta dopo che avevano litigato. Lei è quella che ha fatto scenate di gelosia pubbliche ed epiche di cui anche gli amici di lui ti racconteranno. Magari ridendo. Ma te le racconteranno. Come se non bastasse, le matte sono sempre bravissime in qualcosa. Magari con i numeri, con la ginnastica artistica oppure sono delle musiciste da paura. E tu sentirai parlare fino alla nausea anche del loro talento, non preoccuparti. E in questo caso, che puoi fare? Niente. Rassegnarti.

Mentre suddividevo le donne in categorie, con tanto di esempi, la mia amica rideva tantissimo e continuava a darmi ragione – anche perchè quando sono su di giri non esiste la possibilità di non darmi ragione (si, va bene: non esiste nemmeno quando non sono su di giri.).

Poi, una volta a casa, ho pensato che io appartengo a tutte e quattro le categorie di ex. E che prima di avere a che fare con i miei di ex, le ex dei miei ex e le ex di T., io stessa sono un’ex. Vorrei mai che le nuove ragazze dei miei ex pensassero a me come appartentente a una sola di queste categorie? Vorrei mai che loro pensassero che il mio unico scopo nella vita è portargli via qualcuno che, probabilmente, mi ha già deluso e ferito abbastanza? Qualcuno con cui, poi, magari, ci sono anche rimasta amica- perchè quello è l’unico modo in cui si possono sopportare certe tipologie di persone? Cioè: ci ho provato. Non è andata. Non voglio strappargli le mutande ogni volta che lo vedo per un caffè, te lo giuro. E ancora: vorrei mai che loro pensassero che io le odio? Io non ho tempo di odiarvi, sia chiaro. Ci sono troppi matti nella mia vita, per riuscire a trovare il tempo di odiare anche voi. Devo già litigare con i miei capelli per convincerli a stare giù in un certo modo.

Eppure, loro lo penseranno. E io cosa posso farci? Niente. Devo stare alle regole del gioco.

Ma allora ho pensato che io sono bella, simpatica, stronza e matta. E che non c’è nessuna ragione per cui qualcuno dovrebbe preferire la sua ex a me.

Non c’è nessun motivo per cui qualcuno dovrebbe preferire la propria ex a voi. Sapete, lui poteva scegliere di stare da solo o di stare ancora con lei. E invece ha scelto voi. Che avete passato un giorno intero ad arrovellarvi su quello che poteva o non poteva dirle, che avete montato su una scenata, che avete avuto paura, che vi siete sentire insicure, che avete giocato a fare le distaccate, quelle superiori, quelle fredde. Voi che avete meno tette e più fianchi. Voi che siete meno belle, con tutti quei brufoletti. Voi che non siete brave con i numeri nè con la ginnastica artistica e che magari siete anche stonate. Voi che quando usate il sarcasmo è solo per tirar fuori una lite da panico. Voi che fate le stronze e le ciniche ogni volta che ci riuscite, così, tanto per il gusto di farlo.

E quindi? Dobbiamo preoccuparci per una qualsiasi categoria di ex, mentre lui ci ripete di stare tranquille, che passerà, che l’affronterete?

No. Non c’è ragione di preoccuparsi per le ex belle, per quelle stronze, per quelle simpatiche e nemmeno per quelle matte.

Forse, c’è ragione di preoccuparci solo per la nostra follia congenita che ci spinge a preoccuparci e ad ossessionarci. Che ci spinge ad ossessionare le nostre amiche con queste storie (ma va tutto bene: sono state inventate per questo, non temete. Faranno lo stesso gioco con voi appena se ne presenterà l’occasione.). Ma esiste forse qualcosa di più divertente al mondo? Insomma: mentre davo di matto la mia amica rideva. Forse, perchè le amiche sono state inventate anche per vedere oltre e rendersi conto di quando ci stiamo ossessionando per niente. Ma sono nostre amiche e, non solo non ce lo fanno notare: loro ridono anche. Magari, si divertono davvero a predersi nella testa di una psicopatica che vuole mettere le persone in delle categorie perchè, come dice F., a noi, l’unica cosa basic che ci piace, è la linea di Zara. E quindi, avere amiche dalla testa confusa ci piace da morire.

Ma è una follia congenita, ce la danno con l’utero. Non possiamo fare niente nemmeno per quello. Come S. ha fatto notare ieri a T., non esiste nel mondo una solo donna che sarebbe stata tranquilla a sapere qualcuno con cui sta in compagnia della sua ex. (E lui è molto buono, molto dolce, molto paziente. E sa quando non si può che darmi ragione.)

Non posso che concludere ringraziando le mie amiche tutte. Grazie perchè tutte le ex dei miei uomini sono brutte “e hanno pure le cosce grasse”. Grazie perchè pure le nuove ragazze dei miei ex sono brutte con le cosce grasse. Siete le amiche più belle di tutto l’universo.

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Ah. Ovviamente T. l’ha detto ad A. Io speravo che non scoprisse la mia identità. Ma io speravo anche di diventare amica della nuova ragazza del mio ex. Quindi, davvero, mentre leggerete queste parole un’ondata di ventenni starà parlando male di me. Sono graditi commenti di amore per compensare.

Ystävänpäivää

Sono bionda, ho un hello kitty tatuato da qualche parte, disegno cuoricini dovunque. Sapete già che ho una passione per “Cime Tempestose” e per “Sex and the city”. Sapete che conduco una vita straparlata. Con mille amici (si, non solo amiche) disperati, al punto tale che non mi sorprenderei nemmeno un po’, se tra domani e domenica, qualcuno di loro provasse la psicomagia o qualche trovata del genere. Poteva forse esserci ragione per cui non mi ritrovassi a scrivere su San Valentino?  Tuttavia, la mia amica F. ha ribadito così tante volte che io sono “così tanto alternativa dentro da non doverlo nemmeno esternarlo coi vestiti”, che non cadrò in nessun cliché. Anche perchè quando ho chiesto a T. di regalarmi un fiore, mi ha detto che mi regalerà un carciofo. E poi non sono quel tipo di bionda. Dieci anni fa, S. si trovava a Tampere, in un posto fatato, pieno di laghi e foreste, circondata dalla follia finlandese. Dieci anni fa, S. già sapeva della fissa dei finlandesi per feste e ricorrenze, (no: mi rifiuto di parlavi di decorazioni natalizie dai primi di ottobre e dei “piccoli natali” che si festeggiano ogni domenica, dalla prima di novembre. Se volete, vi dico solo che, quando quell’anno mi svegliai la mattina del ventisei dicembre, dissi ad altavoce “Sono sopravvissuta al Natale”.) così, quando agli inizi di febbraio, la fanciulla, che all’epeca era una super dark, cominciò ad imbattersi in persone vestite da orsi di peluche rosa e cuori in ogni dove, credette che quello no, che quello era veramente troppo. Poi però, la piccola darkettina scoprì che i finlandesi non erano fighi solo per il senso del pudore che non hanno e che li spinge a fare la sauna tutti insieme, nudi. Erano fighi perchè loro sono nordici, non sono smielati. Evitano, con estrema cura, manifestazioni di affetto e limitano a casi estremi il contatto fisico. Tranne che per un giorno: il quattordici febbraio. Che in Terra di Fin è il giorno dell’amicizia. Quindi, in Finlandia, oggi, nessuno è depresso. Tutti hanno qualcosa e qualcuno con cui festeggiare e nessuno si darà alla psicomagia.

E Hunaja, che tra l’altro vuol dire miele in finlandese, vuole celebrare l’amicizia, come fa da un decennio in questo giorno.

Penso a questi angeli meravigliosi che entrano nella nostra vita e ci restano accanto, questi angeli meravigliosi pronti a mettersi addosso l’armatura per noi ogni volta che ce n’è bisogno. Sono molto fortunata, devo dirvi. Nella mia vita ce ne sono molte di persone che hanno indossato l’armatura per me, quando io non ne avevo voglia. La mia vita è costellata di questi angeli che plurime volte hanno deciso di combattere con me, per me, al posto mio. Questi angeli sono dovuti scendere nell’inferno per salvarmi la vita.

La prima amica della mia vita si chiama G. e mi ha regalato la vita quando aveva solo ventidue anni. Siamo diventate grandi insieme, io e la mia mamma, che per colpa mia è stata costretta a diventare una donna forte, dalla pazienza infinita e pronta a tutto. Non so se riuscirò mai a reggere il paragone con lei ma so con estrema certezza che lei è la prima cosa bella che la vita mi ha dato. Fondamentale, nella fase più tragica della mia vita, è stata un’altra donna della mia famiglia, si chiama M. e più che una cugina per me è una sorella. Insieme abbiamo condiviso la vita e la morte, la felicità pura, il dolore puro. Poi c’è M., che è entrata nella mia vita quando avevamo undici anni ed è la migliore amica che si possa desiderare. Dico spesso che è la mia migliore amica perché ogni volta che propongo di fare qualcosa di estremamente stupido, lei mi incoraggia a farlo in quello stesso istante. “M., chiamiamo Trenitalia per chiedere se possiamo trasportare una zebra?” “Chiama, muoviti”. Con lei una volta ho riso così tanto che mi sono letteralmente fatta la pipì addosso. Insieme abbiamo fatto tutto. I dolori dell’una sono diventati i dolori dell’altra. E siamo anche così fighe da aver avuto un ragazzo in comune (che no, gli uomini sono soliti fare queste cose, le ragazze litigano sempre per queste robe. Un giorno dovremmo farvi un video della faccia di siffatto tipo quando ci incontra insieme.). Complice di innumerevoli delle nostre avventure, è un’altra M.. M., M. e io abbiamo condiviso gli anni più difficili di tutti; abbiamo condiviso nascite, matrimoni, divorzi, funerali, innamoramenti, susseguirsi di vicende di tre famiglie diverse. Loro sono le custodi dei miei segreti più infimi, quelli che nemmeno in punto di morte confiderei ad altra anima, quelli che non ho mai nemmeno scritto sul diario per paura che qualcuno possa sapere. Ma loro si. Loro sono quelle con cui sono diventata grande, quelle che non mi hanno mai giudicata e non mi giudicheranno mai. Sono quelle che mia madre chiama quando sto male, sono quelle che ci sono state nei momenti più divertenti di sempre. Sono quelle che ci sono state nei momenti più brutti di sempre. Sono quelle dei pomeriggi di noia, loro sono quelle che ci sono sempre state, che non mi hanno mai lasciato la mano e che mai me la lasceranno. Sono quelle del “le vostre storie sono meglio di un film”.

Crescendo, sbagliando, perdendomi, molte altre persone sono state disposte a mettersi l’armatura per me. Non posso parlarvi di ognuna di loro ma lo so io, e lo sanno loro, che senza di loro che hanno creduto in me quando nemmeno io ho creduto in me stessa, oggi non sarei quella che sono. Ognuno di loro è una delle mie buone stelle.

In finlandese ci sono tre modi per dire amico: kaveri è un amico, ystävä si usa anche per i fidanzati, è più di un kaveri. Toveri è ancora più di ystävä. Toveri è un compagno di vita.

Io ho sempre avuto molti pochi kaveri. Però ho avuto molti ystävä e ancora più toveri.

Hunaja e il suo senso di missione verso la salvezza del mondo, vuole che ognuno di voi parli di come festeggiano i finlandesi il quattordici febbraio a quell’amico un po’ disperato per questo fine settimana, vuole che lo sproniate a tirar fuori la parte finnica che vive nel cuore di ognuno di noi. E vi augura un buon Ystävänpäivää.

Hyvää Ystävänpäivää a tutti, soprattutto ai pilastri di questa mia vita.

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Arrendersi, a volte, è meraviglioso

E’ che provo piacere nel farlo sorridere, nel farlo ridere. E’ che mi fa venire voglia di preparare un pancake con uova e banana, profanando la mia vergine cucina, per portargli la colazione a letto (ma lo stronzo ha deciso di spezzarsi, quindi alla fine erano solo uova strapazzate con la banana- e non essendo questo un blog di cucina, vi suggerirei di non provare a riprodurre l’orrore nelle vostre case). E’ che tutte quelle canzoni che avevo sempre reputato come rumore, non mi infastidiscono nemmeno più così tanto. E’ che ho provato uno strano entusiasmo nell’uscire di casa mentre dormiva. E’ che continuo a pensare a quando lunedì pomeriggio è uscito da qui, dopo avermi detto che sono la persona giusta per questo momento della sua vita, che si arrendeva. Dopo che se n’è andato sono rimasta stesa a letto, nuda, a scrutare i segni che lascia sulla mia pelle, ad accarezzarli. E nella mia testa suonava forte quel “Mi arrendo”. E stavolta non c’entra niente quella mia incapacità di perdere, per cui nessuno vuole giocare con me a niente, perchè, tanto, si sa già che bisoga giocare fino a quando non vinco. Non c’entra niente quella sensazione di pace e armonia che provo nel dire “io l’avevo detto”. Certo, quella sensazione l’ho provata quando gli ho detto che io credo sempre a tutto e a tutti, tranne a lui, quando mi aveva detto che voleva stare da solo. Ma questo è un altro discorso: dovrò pur avere le mie piccole rivincite. E’ che proprio pensavo a quanto difficile sia fidarsi di sé stessi, delle proprie sensazioni, a quanto sia più facile lasciarsi andare in balia di quello che gli altri dicono e fanno. Pensavo a M., che ad un certo punto mi ha telefonato per dirmi “S., ne abbiamo viste tante, eh. Ma stavolta sembra che tu stia diventando schizofrenica: questo ti dice una cosa e tu ne capisci un’altra”. “Lo stomaco, M., lo stomaco! Io sento la vita!”. “Tu sei completamente, definitivamente ed irrimediabilmente impazzita.”. Che devo dirvi? Il dubbio era venuto anche a me; una parte di me temeva che me la stessi raccontando per non affrontare la realtà, sono anche stata contretta da un’amica a guardare “La verità è che non gli piaci abbastanza”. Ma il mio stomaco ha vinto sulla testa, ha vinto sul cuore: io ero l’eccezione. Per farlo arrendere, mi sono dovuta arrendere a me stessa, a tutti i miei schemi mentali, mi sono dovuta scontrare con una S. disposta a prendersi un palo in faccia e un pochino mi ha fatto paura guardare questa ragazzina che era pronta a perdere ma che voleva a tutti i costi continuare a giocare. Due settimane dopo è arrivato il verdetto: mi arrendo. E io sono rimasta stesa un tempo infinito a pensarci. Poi, quando mi sono alzata, accanto al letto c’era il vassaio con la colazione, in cucina una valanga di piatti della sera prima. Ho pensato alla mia amica C. e alla sua convinzione secondo cui le case con le cucine sporche, piene di piatti di lavare, appartengano alle persone felici. Non pensavo che avrei mai scritto una cosa del genere, ma siamo arrivati a tanto: mentre guardavo tutti quei piatti da lavare, mi sono infilata un maglione, ho guardato un livido sulla mia spalla e ho pensato che la felicità era quell’attimo. Ho pensato che non ero felice per un uomo (e nemmeno per i piatti, eh!) ma che ero così tanto felice perchè avevo avuto il coraggio di restare fedele alle mie sensazioni; ero così tanto felice perchè non avevo avuto paura di perdere; ero così felice perchè lui si è arreso, si, ma prima mi ero dovuta arrendere io. E questo fa sì che nessuno abbia perso. E che nessuno abbia vinto.

Quindi si: va tutto bene con T. Ho dinuovo quindici anni e un unico grande problema: T. non manda messaggi, ragazzi. Risponde, si, ma a monosillabi. Ora, vi eviterò un solloquio, certa che chiunque si imbatterà in queste parole possa capire quale gravissima tragedia sia avere una relazione con qualcuno che non scrive, per una che ha un diario segreto da diaciannove anni, cinque mesi e dieci giorni. Le case delle persone di cui sono amica si riconoscono perchè c’è almeno un post-it che ho lasciato da qualche parte. Ci rendiamo conto? Qualcuno può fare qualcosa? Sia T. che M., che innumerevoli amiche, mi hanno ricordato che sono io quella che scrive e che non posso pretendere che nel mondo tutti debbano avere quella mia stessa premura nello scrivere. M., che presto diventerà santo, mi ha anche detto che non tutti hanno costantemente bisogno di scrivere quello che fanno, dove sono, cosa pensano, che non tutti hanno passato metà della vita con un diario in borsa. E si, lo so. Lo capisco. Ma per pararmi il culo l’ho scritto venti righe fa che ho dinuovo quindici anni.

Voglio dedicare questo post a V., voglio dedicarle questo post perchè spero che presto trovi anche lei il coraggio di arrendersi. Come me, come T.. Di arrendersi alle cose della vita. Non come me con i messaggi: questa è una battaglia alla quale non mi arrenderò mai. Prima o poi, ve lo giuro, vi scriveò che mi ha scritto una lettera. Perchè, diciamolo: ci sono cose a cui ci si deve arrendere, e cose con le quali bisogna lottare. Quando scrivi da vent’anni, puoi arrenderti all’idea di un T. che ti fa venire voglia di tagliarti le dita ogni volta che ti scrive un messaggio con una parola ma che poi si fa perdonare passandoti a dare un bacio prima che torni a casa, ma se scrivi da quasi vent’anni, non puoi arrenderti all’idea di non trasmettergli l’amore per l’accostare le parole. E’ la mia nuova missione di vita, ragazzi.

Io sono Gioia Nera e so ridere di me

Nella mia camera da adolescente, che è stata distrutta solo quando, a venticinque anni, i miei hanno cambiato casa, appeso sul letto, c’era il testo di Gioia Nera dei Prozac+.

Io sono Gioia Nera […] sono nera ma so ridere di me. Era l’unica frase, di tutta la canzone in cui non mi ero mai riconosciuta.

L’autocontrollo, quel demone che ti sussurra che sei più forte di tutti perchè, mentre la gente ha bisogno di cibo, tu puoi bere solo un bicchiere d’acqua bollito per pasto, ti impedisce di ridere di te.

S. ha riconosciuto in quella vocina che le diceva di non chiamarlo, la stessa vocina che le diceva di non mangiare.

S., quando ha pensato di chiamarlo per chiedergli “ti manco?”, si è detta che era una cosa molto stupida. Poi, però, si è anche detta che se Carrie aveva il giorno in cui è stata lasciata con un post-it, lei poteva avere il giorno in cui ha preso il telefono per chiedere “ti manco?”. Si è subito detta che, nel peggiore dei casi, sarebbe stato uno di quegli aneddoti divertenti da raccontare a tutti. Era diventata, finalmente, una Gioia Nera che sa ridere di sé.

S. aveva sempre creduto nel bianco o nel nero. Nel bene o nel male. Nel bello o nel brutto. Per tutta la vita, S. aveva accuratamente evitato le vie di mezzo. S. aveva sempre creduto che c’erano cose per cui valesse la pena investire tempo e cose che facessero solo perdere tempo. S. aveva sempre creduto nel bianco o nel nero. T. le sta insegnando che esistono molti altri colori. Ad alcuni di questi colori, S. non aveva proprio mai pensato: non le era sfiorata l’idea che non si adattassero al suo incarnato; semplimente la consapevolezza dell’esistenza di quei colori non era mai arrivata nella sua vita.

Qualche giorno fa S. scherzava: T. si è portato via le mie lacrime. Cosa si porterà via il prossimo? La dignità? Ah, no: l’ho persa quando gli ho chiesto se gli manco.

S., senza lacrime e senza dignità, è libera come non mai. Libera nell’inquitudine, liberà nella confusione, libera di scoprire mille colori che non aveva mai indossato. E questo la eccita, questo la fa sentire viva, in balia della vita, dell’ignoto. L’ignoto che sempre aveva evitato, a lei piaceva valutare i pro e i contro. S. è una specialista delle liste. Nelle sue liste cose, persone, situazioni, occasioni sociali vengono incasellate. T. sfugge ad ogni casella.

T. è solo T.. Con S.. Come T. può stare con S., come S. può stare con T.

T. sta insegnando ad S.

S., forse, insegnerà qualcosa a T.

Tutti gli uomini avevano reso S. vulnerabile e fragile, indecisa e spaventata. T. sta rendendo S. forte, sicura di sé, libera dai pregiudizi, libera dall’ignoto, libera dal futuro.

Finlamente posso dirlo: Io sono Gioia Nera e so ridere di me.

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