Sono giorni strani. Sono a metà tra l’euforia e qualcosa che supera di gran lunga quello che gli umani intendono col termine felicità, per un ambito della mia vita, e a metà tra l’inquietudine e la smania per qualcosa che riguarda un’altra sfera della mia vita. Così, sono giorni, che ai “come stai?” rispondo con “inquieta”.
Stamattina, M. mi ha mandato una frase di Emily Brontë: “Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza”. M. sa perchè amo così tanto le parole di quella sconosciuta morta più di un secolo prima che io affacciassi i miei occhi sulla finestra del mondo ma con cui sento una così grande affinità che mi sembra di conoscerla questa donna, mi semba di conoscerla da sempre. Forse solo perchè conosco esattamente quello di cui parla.
Mi sono sempre definita inquieta, mi percepisco sempre come smaniosa. Mi ricordo di una volta che, al liceo, la mia professerossa di francese, mi definì un’anima in pena e io pensai che nessuna descrizione di me sarebbe più stata così tanto mia.
E’ che io ho sempre avuto paura di perdermi le cose della vita. Io ho sempre avuto paura di non riuscire a vivere al ducento per cento. Io ho sempre avuto paura di quella sensazione che ti impedisce di fare le cose. Ho sempre cercato di combattere quella vocina nella mia testa che mi dice di non fare o di fare determinate cose. Ho sempre cercato e voluto vivere di emozioni. Ho sempre cercato di non dare retta né alla testa né al cuore, ma allo stomaco. Mi piacciono le sensazioni dello stomaco. Mi piace quel nodo allo stomaco che, prima ancora che si crei quella sensazione più in alto, nella gola, prima ancora che possa sentire le lacrime nel naso, prima ancora di sentire gli occhi lucidi, mi dice: “Ehi, bambina, sei tu, sei viva, stai per piangere”. Ho sempre amato il fatto che i miei pianti più atroci siano interrotti dal vomito, da quella vocina che mi dice: “E’ tutto partito da qui, finisce tutto da qui”. Forse per tutti i disturbi alimentari che hanno dominato la mia vita; forse per quello stomaco che rifiuta il cibo, anche oggi che, adulta e consapevole di quello che implica saltare tre pasti di fila, cerco di propinarglielo; forse per quella sensazione di nausea con cui mi sveglio quando sono particolarmente turbata o agitata; forse per tutte le volte che vomito per un incubo, perchè sono arrabbiata, perchè sono agitata; io penso che lo stomaco sia la parte più vera di me. Il cuore no. Io un po’ lo detesto il mio cuore. A volte batte troppo, a volte troppo poco e altre si dimentica completamente di battere. Ci sono giorni in cui è solo ghiaccio e giorni in cui è il fuoco più ardente. Della mia testa non mi piace molto parlare, ho visto, in tanti anni di adolescenza problematica, uomini e donne, adulti, con un attestato che diceva che potevano salvarmi la vita, guardarmi nella disperazione più totale. Penso troppo, mi disse una delle ultime psicologhe che ha cercato di trovare un filo conduttore ai meandri dei miei pensieri, in cui sono solita perdermi. E doveva dirmelo lei? Lo so che penso troppo, l’ho sempre saputo. Penso a quello che penso, a quello dovrei pensare, a quello che vorrei fare, a quello che dovrei fare, a quello che quella persona mi ha detto, a quello che potrebbe voler dire ma che potrebbe voler dire anche quest’altra cosa e anche quell’altra. E, si: potrebbe avere anche quell’altro significato. Poi, penso di avere il dono di prevedere non solo quello che farò ma anche quello che faranno gli altri, quello che pensano gli altri, quello che provano gli altri. E subito dopo mi dico che sono arrogante. E poi mi dico che non so nemmeno quello che penso io. E poi mi sveglio nel cuore della notte e mi ritrovo a rimettere insieme parole sconfusionate e prive di senso per cercare di capire quello che tizio voleva dire scrivendomi quella cosa, analizzando tutti i dettagli, ogni singola parola che ha scelto, notando la presenza o l’assenza della punteggiatura e chiedendomi se si era preso tempo per rispondermi, se mi aveva risposto di getto e blablabla. Mi dico che le persone normali non fanno queste cose. Che le persone normali fanno quello che vogliono senza chiedersi se è la cosa giusta, senza turbarsi per le conseguenze. Penso al mio amico P. che in questi giorni ha paura di uscire di casa per paura di prendersi la meningite e mi dico che è stupido. Che se e quando contrarrà la meningite ci penseremo. Mi dico che è un ipocondriaco. E dare un nome al suo modo di comportarsi, mi conforta. E’ come se senza quella definizione io non potessi capirlo. E allora è importante che io cerchi di definire anche il mio virus del pensiero. Oppure che smetta di ascoltare la testa e cominci ad ascoltare il mio stomaco: ho fame? Mi viene da vomitare? Mi dice che sto per piangere? C’era stato un periodo in cui mi svegliavo perennemente col mal di testa. Perchè pensavo anche mentre dormivo, mi suggerì la naturopata. Forse fu per quella frase che comincai a dire a me stessa che non dovevo pensare ma vivere. E allora ci focalizzammo su tutti i problemi del mio stomaco. Sono fisici, clinici, causati dai digiuni. Ma lo stomaco pare essere anche quella parte di noi strettamente collegata alle emozioni.
E io mi sono sempre definita un’emotiva. C’era stato un periodo della mia vita in cui ho desiderato così ardentemente diventare una persona fredda e distaccata, da esserci riuscita. Quel periodo, tuttavia, non mi aveva soddisfatta granché, mi sentivo vuota. Non ero più S. E capii profondamente di trarre nutrimento dalla mia emotività, mi dissi che forse ero sopravvissuta all’assenza di cibo perchè io non avevo mai smesso di nutrirmi di emozioni. Belle e brutte. Capii che io ero capace di vivere il dolore in maniera clinica, in una maniera che quelle persone che non hanno mai avuto una cartella clinica ove fosse scritto che avessero un qualche disturbo della personalità, non possono capire. Però doveva esserci il risvolto positivo: ero anche capace di vivere le emozioni positive con molta più enfasi di quegli stessi individui. E allora ne valeva la pena. Io ho sempre tratto nutrimento dalle mie notti insonni, dai miei pianti che fanno strappare i capelli, da quei pianti che un tempo potevano essere sedati solo con un taglio.
S. non piange. S. questo mese ha pianto solo una volta. Questo mese è stato molto intenso per S. e lei non riesce a piangere. Sempre perchè ha bisogno di spiegarsi tutto, S. si è addirittura detta che forse è posseduta. Da un demonio strano che si è portato via tutte le sue lacrime. S. è disperata perchè vorrebbe terribilmente piangere. In uno dei miei voritici di pensieri senza sosta (che è stato contraddetto da molti altri pensieri, nrd.) mi sono convinta che è perchè con quest’uomo io mi sento forte. Dovrei dire che mi sentivo forte ma mi piace scrivere per flussi di coscienza. O, razionalmente, nel mio cuore, non è finita. Sono così tanto ossessionata dalla libertà che sullo specchio di fronte alla porta d’ingresso di questa casa, con un rossetto, c’è scritto che sono libera se libero me. Sono molto felice di essergli riuscita a dire che mi manca, di essere riuscita a chiedergli di vedermi (che erano tutte quelle cose che assolutamente non avrei dovuto fare, era il ruolo perfetto di Regina di Ghiaccio e anche di Regina Veleno- che è diventata la colonna sonora di questa settimana.) . Sono così tanto ossessionata dalla libertà, da vivere nel terrore di perdermi cose della vita. Sono così tanto ossessionata dalla libertà da essere ossessionata anche dalla libertà degli altri. Ma qual è la libertà di questo ragazzo? E’ libero di voler stare da solo. Ma è libero quando lo dice, quando lo pensa, quando me lo dice, quando se lo dice? E’ libero dai virus del pensiero? Sono libera quando sento di voler rispettare quello che dice, nel rispetto più totale della sua libertà? Sono libera quando sento di desiderare che lui sia veramente libero? Libero di dirmi se gli manco, libero di dirmi che forse non è così sicuro che vuole stare da solo, libero di dirmi che vuole stare da solo ma che malaguratamente la maledizione della mia persona si è manifestata nella sua vita? Libero di dirmi che veramente, nel profondo del suo cuore, sente che vuole stare da solo? E stare da solo, implica davvero stare senza di me? E’ libero di intravedere la possibilità che non sia sua nemica ma sua complice? Sono libera quando cercando di rispettare quello che mi ha detto, non ascolto quella sensazione del mio stomaco che mi dice che un conto sono le cose che si dicono e un altro quelle che si provano? Sono stata libera quando, quando l’ho rivisto, ho ignorato quella sensazione che voleva spingermi ad abbracciarlo? Sono stata libera quando ho avuto voglia di telefonargli e chiedergli come stava ma non l’ho fatto per non minare la sua libertà?
Sono un’emotiva con una testa che lavora troppo, un cuore che batte troppo forte, uno stomaco che manda segnali che la testa mi dice di ignorare e, soprattutto, con degli occhi da cui non escono lacrime.
Forte. Io mi sento forte, con lui. Il mio stomaco mi dice che io con lui posso tutto. E il mio stomaco è la parte più libera di me. Il mio stomaco è quello che mi rende inquieta. L’inquietudine mi dice che sto vivendo questa cosa al duecento per cento, anche senza lacrime. Ho pensato di avere un blocco emotivo che mi impedisse di piangere. Ma credo, dopo tre giorni, di essere giunta alla consapevolezza che non ho nessun blocco emotivo: sono così libera di sentirmi forte con lui, anche se mi ha detto che lui vuole stare da solo, che, semplicemente, non provo l’esigenza di piangere.
Mi sento così forte con lui, che in questo limbo, in questi giorni dove le voci si sovrappongono nella mia testa, dove straparlo, dove non riesco a stare ferma nemmeno un attimo, dove faccio sogni super caotici, dove non voglio cercare soluzioni, sono a mio agio, quasi senza smania. Mi sento così forte da non sentirmi smarrita senza i miei pianti. Mi sento così forte da non aver paura della libertà. Mi sento così forte da essere libera di abbracciare l’inquietudine. Da amare quest’inquitune che profuma di libertà. Mia. Sua. Nostra. E nostra può prevedere che lui davvero voglia stare solo. E mi sento così forte con lui, da pensare che se davvero il suo essere libero deve esprimersi nella volontà di stare da solo, lo sosterrò. Mi sento così libera in quest’inquietudine che l’universo ha voluto che mentre stessi scrivendo queste ultime righe sulle libertà, il mio telefono squillasse e, dall’altra parte, una voce amica volesse parlare con me della libertà. Sono così libera in quest’inquietudine che voglio solo che lui sia libero. Da sé stesso, prima che da me. E sono così libera in quest’inquietudine da pensare che quando ci si libera dai devo e dai voglio, resta solo quella sensazione allo stomaco. E che le sensazione dello stomaco non sbagliano mai.
Emily, mia cara, sarà anche difficile sopravvivere alla tempesta. Ma io lo so che anche il tuo stomaco ti diceva che non c’è niente di più bello nella vita. Chissà se anche nella tua vita, Emily, c’era stata quella tempesta in cui ti eri sentita così tanto salda, così tanto coerente con quello che provavi, da non sentirti nella tempesta, mentre lasciavi che la tempesta ti scompigliasse i capelli. Chissà se anche tu, in quella tempesta, hai pensato che mai avevi visto te stessa, così bella, in una tempesta.